La dirigenza giudiziaria che vogliamo La dirigenza giudiziaria che vogliamo

La dirigenza che vogliamo.
20 premesse e 5 proposte

Area democratica per la giustizia è stata impegnata, in questi anni, in un lungo confronto collettivo sul tema della dirigenza. Dobbiamo ringraziare Claudio Castelli che ci ha accompagnato con pazienza in questo percorso.

Due momenti importati sono stati i seminari di Bologna nel dicembre 2023 e di Napoli nel marzo 2024.

Il Coordinamento nazionale offre questo documento di sintesi e di prime proposte.

IL RUOLO DEL DIRIGENTE

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Non rimpiangiamo il tempo dei dirigenti scelti con il metodo dell’anzianità senza demerito: gli uffici giudiziari, chiamati a dare effettiva tutela ai diritti degli individui, devono essere guidati da chi ne sia capace per merito (nell’esercizio dell’attività giurisdizionale) ed attitudine (alle funzioni organizzative).

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Non condividiamo l’idea che l’ufficio giudiziario sia guidato da un court manager, estraneo al circuito della giurisdizione, che applichi i criteri di efficienza ed economicità che giammai devono essere prevalenti rispetto alla tutela giurisdizionale dei diritti e delle libertà degli individui.

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Per tale motivo, la guida degli uffici giudiziari deve essere riservata ai magistrati e mai deve accadere che un soggetto, estraneo alla giurisdizione, decida quali processi fare, con quali priorità e con quali tempi, sulla base dell’analisi costi/benefici o delle risorse disponibili. Se appare opportuno che, nella organizzazione dei ruoli e nella individuazione delle priorità, si tenga conto delle risorse a disposizione, sempre ribadito l’obbligo costituzionale in capo al Ministero della Giustizia di garantire le risorse per il funzionamento della giustizia, tali scelte devono essere esclusivo appannaggio della dirigenza giudiziaria nei limiti e con il controllo del governo autonomo della magistratura.

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Di contro, pretendiamo che siano coperte le piante organiche dei dirigenti amministrativi che devono essere presenti in tutti gli uffici giudiziari e devono essere adeguatamente formati e motivati, per evitare che i dirigenti giudiziari, per la mancanza o per l’inadeguatezza del dirigente amministrativo, si facciano carico di attribuzioni non loro.

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La dirigenza giudiziaria deve quindi essere spogliata di compiti impropri. AREA DG si impegna a monitorare le funzioni gestionali assegnate ai dirigenti giudiziari, per legge o per prassi, a verificare quelle che sono realmente propedeutiche a garantire l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione e a chiedere al Ministero della Giustizia di assumere su di sé le funzioni gestorie e le responsabilità impropriamente assegnate ai dirigenti degli uffici giudiziari

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L’art. 107 della Costituzione, per il quale tutti i magistrati si distinguono tra di loro soltanto per diversità di funzioni e l’art. 108 della Costituzione, che garantisce l’indipendenza di tutti i magistrati escludono che il dirigente sia un sovraordinato, che esista un rapporto gerarchico negli uffici giudiziari (anche in quelli di Procura) ed inducono tutti a noi ad abbandonare l’incongrua espressione  “capo dell’ufficio” , invitando il legislatore primario e secondario a fare lo stesso.

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Siamo consapevoli che tutte le organizzazioni complesse, quali sono gli uffici giudiziari, hanno necessità di un rilevante impegno organizzativo e di competenze tecniche specifiche per la loro direzione, ma riteniamo che la direzione degli uffici deve essere la più partecipata possibile, mediante il coinvolgimento nella organizzazione di un numero il più ampio possibile di magistrati dell’ufficio. Siamo infatti fermamente convinti che la capacità organizzativa sia un elemento fondante della professionalità del singolo magistrato, che ha il dovere di curare la corretta gestione del proprio ruolo e della propria udienza, di conoscere le norme ordinamentali ma anche di partecipare a pieno titolo alle scelte di organizzazione dell’ufficio.

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Ovviamente la direzione “partecipata” non deve essere un’occasione per il disimpegno del dirigente, che delegando l’organizzazione dei singoli settori rinunci così ad assumersi la responsabilità di una guida unitaria che guardi all’interesse dell’ufficio nel suo complesso, in simbiosi con quello degli uffici con i quali interagisce (uffici requirenti- uffici giudicanti; uffici di primo grado- uffici di secondo grado); si deve anche evitare che l’ufficio sia una somma di micro-uffici, ciascuno che preme per l’attribuzione di maggiori risorse, incapaci di dialogare fra loro e trovare soluzioni unitarie; inoltre, la direzione “diffusa” degli uffici non deve nemmeno ridursi all’invitare i magistrati a trovare, da soli, soluzioni organizzative “unanimi”, così da scongiurare il rischio di fomentare la conflittualità interna o di accontentarsi di soluzioni che, per non scontentare nessuno, non siano funzionali al servizio.

LA CARRIERA IN MAGISTRATURA

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L’abbandono del criterio di scelta secondo anzianità ha determinato, in modo spesso inconsapevole e contro la volontà del legislatore della riforma, l’idea di una carriera in magistratura, con alcune conseguenze pregiudizievoli.

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La valorizzazione del precedente incarico ha determinato la percezione, all’interno della magistratura, di una “carriera” propria dei dirigenti, per la quale dapprima si svolgono le funzioni di semidirettivo in un ufficio piccolo, poi in uno grande, poi si dirige un ufficio piccolo, infine uno grande ; carriera per la quale chi riesce a diventare semidirettivo continuerà per sempre quel percorso, mentre chi, per scelta professionale, familiare o personale, decide di continuare a svolgere le funzioni di magistrato per così dire “semplice”, rischia di essere per sempre escluso dalla chance di svolgere funzioni dirigenziali.Il quadro è poi aggravato da alcune pronunce del GA secondo cui chi è stato direttivo prevale sempre su chi non lo è stato, appunto legittimando l’idea di un necessario cursus honorum.

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  La percezione di una “carriera dirigenziale” rischia di legittimare la idea, tanto diffusa quanto pericolosa, che chi dirige un ufficio è un magistrato di serie A e gli altri sono magistrati di serie B: si tratta di una prospettiva che Area DG ha il dovere di affrontare e criticare perché è fonte di diffuso populismo e demagogia nonché pretesto per il disinteresse dei magistrati rispetto ai temi della organizzazione degli uffici ed alle norme che regolano l’ordinamento giudiziario.

IL RUOLO DEI SEMIDIRETTIVI

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Siamo consapevoli, perché lo vediamo ogni giorno, del contributo che una buona parte dei magistrati semidirettivi forniscono alla giurisdizione, continuando a svolgere le proprie funzioni giurisdizione, senza approfittare dell’esonero previsto. AreaDG si impegna comunque a vigilare, nel circuito del governo autonomo, sulla congruità dei carichi assegnati a ciascun semidirettivo e sulla effettiva verifica in sede di conferma quadriennale di quanto lavoro giudiziario venga effettivamente svolto, sulla riduzione od eliminazione degli esoneri per le varie funzioni organizzative “atipiche” assunte nell’ufficio.

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Per molto tempo, AreaDG ha discusso del tema della scelta dei semidirettivi, a fronte della proposta di sottrarli alla nomina consiliare. Si sono alternate varie proposte: dalla loro scelta secondo anzianità di servizio in sezione, alla loro selezione da parte dei magistrati della sezione o del gruppo, alla loro designazione tabellare (e dunque su proposta del dirigente dell’ufficio) o da parte dei consigli giudiziari. Su alcuni importanti punti fondanti siamo tutti d’accordo: il numero attuale dei semidirettivi, secondo le attuali piante organiche, è eccessivo e la loro distribuzione non è organica e razionale. É necessario ridurre il numero dei semidirettivi ai soli che effettivamente svolgono funzioni organizzative prevalenti su quelle giurisdizionali, perché “ausiliari” del direttivo nella guida di un macro settore (il presidente della sezione civile o penale nei piccoli Tribunali, il coordinatore della sezioni dibattimentali o delle sezioni civile senza significative specializzazioni, quanto alle Procure l’aggiunto di un macro settore di lavoro, ordinaria/DDA) o perché addetti a sezioni che, per difficoltà o specializzazione, meritano un’organizzazione  particolare (a titolo esemplificativo: lavoro, famiglia e persone, protezione internazionale, impresa, fallimentare, gip/gup, riesame, misure di prevenzione). Lasciare, invece, la “guida” (che comporta funzioni organizzative meno pregnanti rispetto a quelle giurisdizionali) delle altre sezioni a chi ha maggiore esperienza nelle materie trattate in ciascuna di esse.

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AreaDG, pertanto, chiede: a) la ricognizione delle posizioni semidirettive attualmente previste nella pianta organica nazionale, b) la individuazione di quelle che comportano soprattutto funzioni organizzative e che è necessario vengano coperte con designazione da parte del CSM sulla base di tali attitudini e di quelle che non sono necessarie alla organizzazione degli uffici, c) la soppressione di quelli inutili.

UN MODELLO DIVERSO DI ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI

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La riforma della dirigenza giudiziaria si fondava sulla temporaneità dell’incarico direttivo e sulla verifica quadriennale dell’esperienza direttivo.  Sulla prima questione c’è chi auspica una temporaneità rigida, che considera la esperienza direttiva o semidirettiva come una parentesi della vita professionale del magistrato (come è per l’esperienza fuori ruolo) e chi ritiene che la complessità dei compiti affidati al dirigente non consenta di disperdere le esperienze e le conoscenze maturate da chi ha già svolto l’incarico.  Entrambe le opzioni hanno buone ragioni a sostegno. Se è vero, infatti, che dirigere un ufficio è un compito complesso che richiede competenze specialistiche ed attitudini specifiche che non sono automaticamente nel patrimonio di ciascun magistrato, è vero anche che la realtà ci consegna un sistema nel quale chi entra nel “circuito” della dirigenza non ne esce più con l’effetto di perpetuare l’idea della “carriera” in magistratura.

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Si deve rompere, invece, questa apparente dicotomia e costruire un modello diverso di gestione e di organizzazione degli uffici che prevede la partecipazione attiva dei magistrati dell’ufficio così da rendere meno centrale il ruolo del dirigente. In tale modo le competenze gestionali e le conoscenze ordinamentali non sarebbero solo di uno ma si trasmetterebbero a tutti i magistrati, l’eventuale inadeguatezza del dirigente sarebbe mitigata dalla cogestione con i colleghi, si sdrammatizzerebbe il momento della scelta del dirigente. Sia chiaro che non si tratta di moltiplicare le deleghe organizzative ed il correlato sistema di esoneri dal lavoro giudiziario, fortunatamente ridotti nella recente normazione consiliare, ma al contrario di chiamare alla responsabilità della organizzazione di settori dell’ufficio tutti i magistrati, ciascuno secondo le proprie competenze. A tale fine, si può valorizzare la recente riforma che introduce, tra i parametri di giudizio della professionalità, la capacità di organizzare il proprio lavoro (art.11 comma 3 lett E).  Si tratta di un incentivo alla partecipazione alla vita dell’ufficio ed uno stringente parametro di valutazione dell’attitudine dirigenziale che attribuisce rilievo alla capacità   di coinvolgere i magistrati nell’organizzazione del servizio e di delegare, non solo aspetti esecutivi, ma anche l’elaborazione di idee condivise con chi ogni giorno pratica la giurisdizione.

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Anche la SSM può essere chiamata ad assumere un ruolo centrale fornendo, dal primo ingresso in magistratura e per tutto l’arco della carriera una formazione all’organizzazione, non solo del proprio ruolo, ma più in generale dei servizi giudiziari offerti dall’articolazione organizzativa nella quale si presta servizio (sezione, tribunale, gruppo di lavoro, ufficio di procura ecc.).

LA TEMPORANEITÁ DEGLI INCARICHI

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Il consuntivo del sistema delle conferme appare oggi fallimentare soprattutto per l’incapacità di valutare e confermare i direttivi in servizio. Le fonti di conoscenza a disposizione del governo autonomo sono inadeguate: se è possibile elencare “cosa” un magistrato ha fatto, non è facile ricostruire “come” lo ha fatto. Le pulsioni corporative della categoria spingono poi, come la cronaca consiliare dimostra, a difendere anche posizioni poco difendibili. Infine, anche qualora si arriva ad una non conferma, i tempi della procedura sono così lunghi che il dirigente di fatto ha svolto nell’incarico gran parte del secondo quadriennio per il quale è arrivata la non conferma postuma.

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Possiamo allora proporre di abbandonare il sistema vigente che prevede un incarico quadriennale con proroga di un altro quadriennio, previa conferma, che occupa così tante energie senza produrre significativi risultati e stabilire che la durata dell’incarico sia di massimo sei anni, fermo restando l’obbligo di giudizio e rendicontazione del risultato finale e la previsione di una procedura di rimozione, a trattazione prioritaria, in caso di gravi criticità emerse già nel corso del mandato.

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L’incarico di sei anni dovrà essere svolto per tutta la durata legale senza poterlo abbandonare per assumerne altri e soltanto al termine dell’intero periodo si potranno fare altre domande; per il tempo necessario allo svolgimento dei relativi concorsi si torneranno a svolgere le funzioni giudiziarie ordinarie.

Si tratta di un progetto che richiede tempo, fatica ed una diffusa rivoluzione culturale ma, secondo noi, è l’unico compatibile con il modello costituzionale di una magistratura orizzontale, nella quale i magistrati si distinguono solo per funzioni.

In conclusione, ad aprile 2024 Area Democratica per la giustizia chiede:

I

la riduzione del numero dei semidirettivi

II

l’adozione di un modello partecipato di gestione degli uffici, mediante l’incentivo alla partecipazione alle scelte organizzative, senza esonero per il magistrato interessato

III

la valorizzazione della capacità organizzativa, quale parametro di valutazione professionale, anche per l’incentivazione alla partecipazione fattiva del magistrato alle scelte organizzative dell’ufficio

IV

l’obbligo di completare l’incarico direttivo o semidirettivo, prima di partecipare ad un concorso per altri incarichi, con l’eventuale ritorno allo svolgimento delle funzioni giudiziarie nelle more della definizione di tali altri concorsi

V

la durata massima di sei anni per ciascun incarico direttivo e semidirettivo, senza alcuna conferma in itinere ma con la previsione di una procedura per la rimozione dall’incarico nell’ipotesi di manifesta incapacità e di una seria valutazione del lavoro svolto qualora si concorra ad altri incarichi

Il Coordinamento nazionale di AreaDG